Con il termine terapia psichedelica si fa riferimento a quelle pratiche terapeutiche che prevedono l’utilizzo di sostanze psichedeliche per assistere la psicoterapia. Gli psichedelici sono infatti agenti psicoattivi che possono essere utilizzati a scopo terapeutico per generare cambiamenti percettivi e alterazioni di coscienza. Le radici di tali terapie risalgono alle pratiche di cura di diverse civiltà arcaiche presso le quali sciamani e uomini di medicina utilizzavano composti psichedelici presenti in natura come metodi di cura o crescita personale.
I primi studi in ambito medico cominciarono in America negli anni ‘50 e ‘60, in seguito alla scoperta delle proprietà psicoattive dell’LSD da parte dello scienziato svizzero Albert Hoffman nel 1943. Tali ricerche erano incentrate sull’utilizzo di farmaci psichedelici sperimentali in ambito chemioterapico e psicoterapeutico. Nell’arco di vent’anni fu somministrata LSD a oltre 40.000 individui principalmente come trattamento per l’alcolismo, disturbi d’ansia, depressione e malattie terminali, anche se alcuni psichiatri utilizzarono composti psichedelici anche nella psicoterapia con soggetti privi di disturbi specifici. Alla fine degli anni ‘60, in seguito alle preoccupazioni sollevate dall’opinione pubblica sulla diffusione illegale delle droghe psichedeliche per uso ricreativo, molti paesi vietarono l’LSD e imposero severe restrizioni per la ricerca medica e psichiatrica condotta con tale sostanza, nonostante le obiezioni di una parte della comunità scientifica.
Nei primi anni 2000 l’avvento di nuove tecnologie come la PET e la risonanza magnetica ha portato ad una riapertura degli studi, permettendo di esaminare con maggiore precisione l’influenza delle sostanze psichedeliche sul cervello umano. Recentemente il dottor Carhart-Harris dell’Imperial College di Londra ha condotto alcune ricerche basate sulla somministrazione di psilocibina (principio attivo dei funghi allucinogeni) in pazienti affetti da disturbo depressivo maggiore cronico, con risultati significativi nella riduzione dei sintomi. Tali studi hanno evidenziato come la psilocibina diminuisca il flusso sanguigno all’amigdala, coinvolta nell’elaborazione delle emozioni, rendendola meno attiva e soprattutto blocchi il DMN (Default Mode Network), la rete neurale legata ad attività introspettive come l’accesso ai ricordi e la riflessione sulle proprie emozioni, che nelle persone depresse sembrerebbe essere iperattivo e provocatore della costante ruminazione che conduce a una spirale di pensieri negativi e ripetitivi.
Un ulteriore effetto positivo sulle persone con depressione delle droghe psichedeliche sembra essere quello di rompere gli schemi che in quei disturbi tengono la coscienza prigioniera di se stessa, aiutando il paziente a sviluppare nuove prospettive. Stimolando inoltre l’emersione di emozioni e ricordi negativi queste sostanze permetterebbero di affrontare tali contenuti apertamente.
É fondamentale, perciò, che la somministrazione di tali sostanze sia accompagnata da un percorso di psicoterapia in cui contenere ed elaborare questi contenuti assieme ad un professionista, per non rischiare al contrario un effetto deleterio. Inoltre è necessario uno screening clinico del paziente in modo da escludere dall’assunzione persone a rischio come ad esempio chi ha una storia familiare di malattie psichiatriche con sintomi psicotici o chi fa uso costante di altre sostanze e potrebbe sviluppare con più facilità una dipendenza dagli psichedelici.
Lo sapevi che:
Dubbi e domande:
Il seguente video spiega in maniera semplificata quali sono gli effetti delle sostanze psichedeliche sul cervello…